Il cervello dell’Intelligenza Artificiale
Segnaliamo l’importante riflessione di Giuseppe Remuzzi sul tema dell’intelligenza artificiale, pubblicata il 18 agosto da “La Lettura”, inserto domenicale de “Il Corriere della Sera”.
Remuzzi parte dalla considerazione che, mentre i normali programmi informatici seguono regole predeterminate, quelli dell’IA apprendono autonomamente, a partire dai dati a disposizione, i quali sono utilizzati e riutilizzati fino ad arrivare a un qualche risultato.
Il fatto è che per molti versi non conosciamo esattamente come le informazioni vengano organizzate e utilizzate dall’intelligenza artificiale. Da ciò sorge spontaneamente una domanda, che anche scienziati e studiosi hanno cominciato a porsi: l’IA potrà arrivare a pensare autonomamente, proprio come facciamo noi?
Remuzzi segnala il caso di Matthew Hutson che, in un articolo pubblicato da “Nature”, affronta il tema della comparazione delle reti neurali del cervello umano con quelle dell’intelligenza artificiale. Quel che è certo è che le funzioni delle reti neurali, così come quelle del cervello umano, restano avvolte, almeno per ora, in un certo mistero.
Un altro caso citato è quello di Martin Wattenberg, professore di informatica di Harvard, il cui campo di ricerca è la modalità di “ragionamento” dell’IA.
Dopo aver ricordato anche il contributo di Thilo Hagendorff dell’Università di Stoccarda, che ha introdotto un nuovo campo di ricerca, la “Machine psychology”, Remuzzi osserva: “La conclusione che si potrebbe trarre da questi studi è che l’intelligenza artificiale non ha coscienza di sé ma, a forza di imparare, potrebbe generare una propria personalità talmente sofisticata da riuscire persino a mentire”.
E conclude con una riflessione di grande importanza e attualità: “Chi si prende la responsabilità di quello che deriva dall’impiego dell’IA? Sarà importante definire chi è responsabile di che cosa e della scienza che produce, anche quando la scienza crea strumenti che aiutano la scienza. Un circolo vizioso, una matassa difficile da sbrogliare, ma l’innovazione quando è così profonda da avere un impatto significativo in tanti aspetti della nostra vita non può essere zona franca di assenza di responsabilità. Insomma, l’IA trasformerà la scienza e forse anche il nostro modo di vivere, ne avremo vantaggi enormi, a condizione di capirne abbastanza per evitare i rischi legati a uno sviluppo incontrollato di questi linguaggi”.
Remuzzi parte dalla considerazione che, mentre i normali programmi informatici seguono regole predeterminate, quelli dell’IA apprendono autonomamente, a partire dai dati a disposizione, i quali sono utilizzati e riutilizzati fino ad arrivare a un qualche risultato.
Il fatto è che per molti versi non conosciamo esattamente come le informazioni vengano organizzate e utilizzate dall’intelligenza artificiale. Da ciò sorge spontaneamente una domanda, che anche scienziati e studiosi hanno cominciato a porsi: l’IA potrà arrivare a pensare autonomamente, proprio come facciamo noi?
Remuzzi segnala il caso di Matthew Hutson che, in un articolo pubblicato da “Nature”, affronta il tema della comparazione delle reti neurali del cervello umano con quelle dell’intelligenza artificiale. Quel che è certo è che le funzioni delle reti neurali, così come quelle del cervello umano, restano avvolte, almeno per ora, in un certo mistero.
Un altro caso citato è quello di Martin Wattenberg, professore di informatica di Harvard, il cui campo di ricerca è la modalità di “ragionamento” dell’IA.
Dopo aver ricordato anche il contributo di Thilo Hagendorff dell’Università di Stoccarda, che ha introdotto un nuovo campo di ricerca, la “Machine psychology”, Remuzzi osserva: “La conclusione che si potrebbe trarre da questi studi è che l’intelligenza artificiale non ha coscienza di sé ma, a forza di imparare, potrebbe generare una propria personalità talmente sofisticata da riuscire persino a mentire”.
E conclude con una riflessione di grande importanza e attualità: “Chi si prende la responsabilità di quello che deriva dall’impiego dell’IA? Sarà importante definire chi è responsabile di che cosa e della scienza che produce, anche quando la scienza crea strumenti che aiutano la scienza. Un circolo vizioso, una matassa difficile da sbrogliare, ma l’innovazione quando è così profonda da avere un impatto significativo in tanti aspetti della nostra vita non può essere zona franca di assenza di responsabilità. Insomma, l’IA trasformerà la scienza e forse anche il nostro modo di vivere, ne avremo vantaggi enormi, a condizione di capirne abbastanza per evitare i rischi legati a uno sviluppo incontrollato di questi linguaggi”.
Foto di Aidin Geranrekab su Unsplash