“Una voce per chi non ha voce”: il nuovo libro del Dalai Lama
È stata pubblicata da Harper Collins Italia l’edizione italiana, tradotta da Francesca Pè, dell’ultimo libro di Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama.
Il titolo – “Una voce per chi non ha voce. Oltre settant’anni di lotta per la mia terra e il mio popolo” – ne anticipa e sintetizza i contenuti, che ripercorrono l’arco della vita di questo straordinario rappresentante di una cultura tibetana che vuole dialogare con il mondo sulla base di princìpi universali e spiritualmente ispirati. La sofferenza del popolo tibetano, che nasce in seguito alla violenta invasione cinese del Tibet nel 1950 e continua tutt’ora, è ben presente nel cuore del Dalai Lama e trova un’eco profonda in questo scritto, che peraltro evidenzia costantemente la necessità di non cadere nella trappola dell’odio verso i cinesi, lasciando invece spazio al sentimento di compassione.
Nel testo il Dalai Lama affronta anche il tema della sua successione, affermando chiaramente che il prossimo Dalai Lama nascerà nel mondo libero per “essere la voce della compassione universale, il capo spirituale del buddhismo e il simbolo del Tibet e delle aspirazioni del suo popolo”.
Segnaliamo l’interessante e approfondita recensione del libro pubblicato da Marco Ventura nell’inserto “La Lettura” del Corriere della Sera del 16 marzo scorso, che si conclude con queste parole: “L’appello che chiude l’opera fonda sulla fiducia nella sconfitta del totalitarismo, ‘sistema instabile per natura’, l’invito a vedere ‘l’umanità anche nei nostri oppressori, perché alla fine sarà con la loro umanità che giungeremo a un accordo’. Se niente è ‘immune alla legge dell’impermanenza’, servono ‘pazienza, determinazione incrollabile, unità e coraggio’ ai tibetani nella loro lotta e all’umanità intera nella sua interdipendenza. Come dicono lassù, sul tetto del mondo, ‘se cadi nove volte, rialzati nove volte’”.
Il titolo – “Una voce per chi non ha voce. Oltre settant’anni di lotta per la mia terra e il mio popolo” – ne anticipa e sintetizza i contenuti, che ripercorrono l’arco della vita di questo straordinario rappresentante di una cultura tibetana che vuole dialogare con il mondo sulla base di princìpi universali e spiritualmente ispirati. La sofferenza del popolo tibetano, che nasce in seguito alla violenta invasione cinese del Tibet nel 1950 e continua tutt’ora, è ben presente nel cuore del Dalai Lama e trova un’eco profonda in questo scritto, che peraltro evidenzia costantemente la necessità di non cadere nella trappola dell’odio verso i cinesi, lasciando invece spazio al sentimento di compassione.
Nel testo il Dalai Lama affronta anche il tema della sua successione, affermando chiaramente che il prossimo Dalai Lama nascerà nel mondo libero per “essere la voce della compassione universale, il capo spirituale del buddhismo e il simbolo del Tibet e delle aspirazioni del suo popolo”.
Segnaliamo l’interessante e approfondita recensione del libro pubblicato da Marco Ventura nell’inserto “La Lettura” del Corriere della Sera del 16 marzo scorso, che si conclude con queste parole: “L’appello che chiude l’opera fonda sulla fiducia nella sconfitta del totalitarismo, ‘sistema instabile per natura’, l’invito a vedere ‘l’umanità anche nei nostri oppressori, perché alla fine sarà con la loro umanità che giungeremo a un accordo’. Se niente è ‘immune alla legge dell’impermanenza’, servono ‘pazienza, determinazione incrollabile, unità e coraggio’ ai tibetani nella loro lotta e all’umanità intera nella sua interdipendenza. Come dicono lassù, sul tetto del mondo, ‘se cadi nove volte, rialzati nove volte’”.