Testi per l’intuizione [LXVII]
Ci sono brani di poesie, di libri, di memoriali, atti a suscitare l’intuizione del lettore. Il loro significato va oltre le parole e le immagini evocate. È così per questo brano tratto dalla rivista “L’Età dell’Acquario” n. 84 (marzo-aprile 1994), intitolato “La ballata dell’uomo solitario” pp. 18-19:
“L’uomo solitario s’incontra spesso col suo Dio, qualunque sia la forma con la quale si manifesta. Vi sono infatti circostanze nella vita che pongono l’uomo che tende alla solitudine di fronte alla nudità esistenziale sia dell’anima sia del corpo. In quel profondo silenzio privo di legami, di affetti e persino di consolazione emerge il Daimon, l’immagine interiore che indica la realtà delle cose eterne. Avete mai provato la sconvolgente sensazione dell’attesa di un’operazione chirurgica? È una discesa verso l’abisso dell’essere, in una solitudine assoluta, un guardarsi senza maschera nel grande specchio lucente dell’essere. Chi può ingannare se stesso in quei momenti? Quanto una persona si stimi emerge allora con evidenza abbagliante: gli dei interiori ti svelano, forse crudelmente, la verità oltre gli inganni quotidiani. Ma devi essere loro grato poiché ti stanno offrendo una possibilità.
Esiste anche la solitudine della creazione, quei felici momenti nei quali chiudiamo la porta e ci rifugiamo nel nostro personale, privato, inaccessibile mondo interiore fatto di sogni e di archetipi. I pensieri segreti dell’immaginazione e della fantasia si colorano di immagini che di solito non confessiamo agli altri: è un vagare nel Palazzo dell’Anima, nelle grandi sale vuote ma piene di luce, nei corridoi oscuri che si perdono nel labirinto … È una solitudine piacevole che viene colorata dal sogno. Chi può impedire di sentire, oltre la logica quotidiana e il buon senso, il vivo pulsare della coppa del Santo Graal e immaginare il dorato splendore della città sacra di Shambhalla?
Quale dei due gradi di solitudine è più vero? Quello dell’essere di fronte a se stesso o quello dell’immaginazione?
Gli uomini di conoscenza del Messico direbbero certamente la prima; i maghi del nord preferirebbero, senza dubbio, la seconda. Jiddu Krishnamurti e Nisargadatta Maharshi indicavano la via del puro essere. Emanuel Swedenborg e William Blake quella, invece, dell’immaginazione che non si pone limiti o confini.
È difficile sostenere la visione del nudo essere, ma altrettanto duro è vivere nel sogno a contatto con invisibili Dei. Osservava la scrittrice irlandese Elizabeth Bowen (1899-1973): ‘Si parla sempre della dura realtà, ma la fantasia è una tiranna ben più forte’.
Gli uomini di conoscenza si immergono nel puro scintillare dell’essere chiedendo una risposta all’Angelo della Sinistra; i maghi del nord, quando non riescono a sciogliere un enigma, cercano consiglio nel Mondo di Mezzo, tra le foglie che sussurrano e gli occhi che si aprono per loro nei cieli.
Due vie che forse hanno una loro paradossale conciliazione”.
Articolo tratto dal numero di gennaio-febbraio 2022 della Rivista Italiana di Teosofia.
“L’uomo solitario s’incontra spesso col suo Dio, qualunque sia la forma con la quale si manifesta. Vi sono infatti circostanze nella vita che pongono l’uomo che tende alla solitudine di fronte alla nudità esistenziale sia dell’anima sia del corpo. In quel profondo silenzio privo di legami, di affetti e persino di consolazione emerge il Daimon, l’immagine interiore che indica la realtà delle cose eterne. Avete mai provato la sconvolgente sensazione dell’attesa di un’operazione chirurgica? È una discesa verso l’abisso dell’essere, in una solitudine assoluta, un guardarsi senza maschera nel grande specchio lucente dell’essere. Chi può ingannare se stesso in quei momenti? Quanto una persona si stimi emerge allora con evidenza abbagliante: gli dei interiori ti svelano, forse crudelmente, la verità oltre gli inganni quotidiani. Ma devi essere loro grato poiché ti stanno offrendo una possibilità.
Esiste anche la solitudine della creazione, quei felici momenti nei quali chiudiamo la porta e ci rifugiamo nel nostro personale, privato, inaccessibile mondo interiore fatto di sogni e di archetipi. I pensieri segreti dell’immaginazione e della fantasia si colorano di immagini che di solito non confessiamo agli altri: è un vagare nel Palazzo dell’Anima, nelle grandi sale vuote ma piene di luce, nei corridoi oscuri che si perdono nel labirinto … È una solitudine piacevole che viene colorata dal sogno. Chi può impedire di sentire, oltre la logica quotidiana e il buon senso, il vivo pulsare della coppa del Santo Graal e immaginare il dorato splendore della città sacra di Shambhalla?
Quale dei due gradi di solitudine è più vero? Quello dell’essere di fronte a se stesso o quello dell’immaginazione?
Gli uomini di conoscenza del Messico direbbero certamente la prima; i maghi del nord preferirebbero, senza dubbio, la seconda. Jiddu Krishnamurti e Nisargadatta Maharshi indicavano la via del puro essere. Emanuel Swedenborg e William Blake quella, invece, dell’immaginazione che non si pone limiti o confini.
È difficile sostenere la visione del nudo essere, ma altrettanto duro è vivere nel sogno a contatto con invisibili Dei. Osservava la scrittrice irlandese Elizabeth Bowen (1899-1973): ‘Si parla sempre della dura realtà, ma la fantasia è una tiranna ben più forte’.
Gli uomini di conoscenza si immergono nel puro scintillare dell’essere chiedendo una risposta all’Angelo della Sinistra; i maghi del nord, quando non riescono a sciogliere un enigma, cercano consiglio nel Mondo di Mezzo, tra le foglie che sussurrano e gli occhi che si aprono per loro nei cieli.
Due vie che forse hanno una loro paradossale conciliazione”.
Articolo tratto dal numero di gennaio-febbraio 2022 della Rivista Italiana di Teosofia.