La Voce del Silenzio

Edizioni Teosofiche Italiane ha pubblicato la dodicesima edizione italiana de La Voce del Silenzio (http://www.eti-edizioni.it), edito per la prima volta nel 1889.
È questo un testo che spicca nel panorama della letteratura teosofica per l’incisività del messaggio e il profondo significato dei contenuti.
Helena Petrovna Blavatsky racchiude in realtà sotto questo titolo alcuni frammenti tratti dal Libro dei Precetti Aurei che, nella pubblicazione, vengono accompagnati da altre due raccolte di frammenti, sempre tratti dallo stesso libro e titolati rispettivamente: I Due Sentieri e Le Sette Porte.
L’insieme di questi frammenti dà vita ad un vero e proprio percorso interiore verso la consapevolezza compiuto da una coscienza umana che libera le proprie possibilità e scandisce il conosciuto in un passaggio dall’oscurità alla luce, dal pensiero concreto all’intuizione, dal caotico susseguirsi di eventi alla meditazione.
Quel che colpisce di questi frammenti è il forte carattere universale, la sicura induzione nel lettore di una presa di coscienza animata da uno sviluppo interiore che porta ad una saldatura fra interno ed esterno, quasi ad unire la vita in un unico e più profondo significato.
La conseguenza è che letture successive dei frammenti svelano contenuti via via sempre più profondi e che sanno adattarsi al “momento” esistenziale e spirituale del lettore. Proprio per questo La Voce del Silenzio, I Due Sentieri e Le Sette Porte sono consigliabili sia a chi si avvicina ai temi della ricerca spirituale sia a chi ha dedicato alla stessa lunghi anni di studio.
Ma da dove vengono questi “aurei” versi?
Nella prefazione alla prima edizione inglese Helena Petrovna Blavatsky (H. P. B.), come il lettore potrà direttamente verificare di seguito, ci fornisce in proposito precise spiegazioni: “L’opera, dalla quale io traduco, forma parte della serie medesima, dalla quale furono tolte le Stanze del Libro di Dzyan, sulle quali si basa La Dottrina Segreta. Il Libro dei Precetti d’Oro ha la stessa origine della grande opera mistica intitolata Paramārtha la quale, come narra la leggenda di Nāgārjuna, fu data al grande Arhat dai Nāga o Serpenti (nome dato agli antichi iniziati)”. Si tratta dunque di un’opera che si riconnette alla tradizione esoterica del Buddismo tibetano, ma che ha “fonti” persino più antiche e di sicuro carattere universalizzante.