La sacralità del lavoro
Nella vita dell’essere umano il lavoro assume un significato di grande importanza, non soltanto perché rappresenta il mezzo attraverso il quale procurare i mezzi di sostentamento per se stessi e per i propri cari, ma anche perché offre la possibilità di esprimere se stessi e di dare un contributo alla crescita sociale.
Per questo gli uomini di buona volontà amano il proprio lavoro e considerano il sacrificio che spesso comporta come “sacrum facere”, rendere cioè sacro quello che si fa.
In un’ottica di questo tipo diventa importante rispettare il lavoro, far sì che diventi un diritto-dovere di tutte le persone, tutelarne le garanzie in termini di giusta retribuzione, sicurezza, rispetto dei diritti dell’essere umano.
In proposito il grande poeta libanese Khalil Gibran scrisse, nel suo celebre “Il Profeta”:
“Spesso vi ho sentito dire, come parlando nel sonno:
Chi colpisce il marmo, plasmando la sua anima nel sasso,
è più nobile di chi ara i campi.
E chi dipinge sulla tela rubati arcobaleni
In un’effige umana,
è più di chi foggia sandali per i nostri piedi.
Ma io vi dico che il vento
Nel desto e pieno mezzogiorno e non nel sonno,
parla con la stessa dolcezza alle giganti querce
come allo stelo più sottile dell’erba.
È grande soltanto chi trasforma la voce del vento
In un canto ripetuto dalla dolcezza d’amore.
Il lavoro è amore che crea.
Se non potete lavorare con amore,
perché il lavoro vi ripugna, lasciatelo.
Meglio è sedere alla porta del tempio
Per ricevere elemosine da chi lavora con gioia.
Poiché se fate il pane, senza amore,
esso sarà insipido e non potrà sfamare l’uomo.
E se premendo l’uva, in voi non c’è trasporto,
nel vino la vostra ripugnanza distillerà veleno.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto,
renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte”.
Per questo gli uomini di buona volontà amano il proprio lavoro e considerano il sacrificio che spesso comporta come “sacrum facere”, rendere cioè sacro quello che si fa.
In un’ottica di questo tipo diventa importante rispettare il lavoro, far sì che diventi un diritto-dovere di tutte le persone, tutelarne le garanzie in termini di giusta retribuzione, sicurezza, rispetto dei diritti dell’essere umano.
In proposito il grande poeta libanese Khalil Gibran scrisse, nel suo celebre “Il Profeta”:
“Spesso vi ho sentito dire, come parlando nel sonno:
Chi colpisce il marmo, plasmando la sua anima nel sasso,
è più nobile di chi ara i campi.
E chi dipinge sulla tela rubati arcobaleni
In un’effige umana,
è più di chi foggia sandali per i nostri piedi.
Ma io vi dico che il vento
Nel desto e pieno mezzogiorno e non nel sonno,
parla con la stessa dolcezza alle giganti querce
come allo stelo più sottile dell’erba.
È grande soltanto chi trasforma la voce del vento
In un canto ripetuto dalla dolcezza d’amore.
Il lavoro è amore che crea.
Se non potete lavorare con amore,
perché il lavoro vi ripugna, lasciatelo.
Meglio è sedere alla porta del tempio
Per ricevere elemosine da chi lavora con gioia.
Poiché se fate il pane, senza amore,
esso sarà insipido e non potrà sfamare l’uomo.
E se premendo l’uva, in voi non c’è trasporto,
nel vino la vostra ripugnanza distillerà veleno.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto,
renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte”.
Photo by Wei-Cheng Wu on Unsplash