L’animale buono da pensare

Gino Ditadi

ego-eco
Viviamo in un’epoca che non ha precedenti. L’effimero vortice del presente confonde, ai fini del dominio, sviluppo tecnico e progresso.
Il vero problema per l’uomo non è l’ordine naturale che lo ha visto nascere, ma ciò che egli è diventato. L’apparato di dominio della società umana, nel corso delle vicende storiche – alterne prima, sempre più unidimensionali poi – ha assunto una funzione devastante del kósmos naturale, tanto da degradare l’uomo in soggetto che, nella distruzione dell’esistente, trova la sua superiorità, la sua ragion d’essere in termini di potenza e, insieme, il suo annichilimento. Alla base vi è dunque un rapporto distorto tra uomo e uomo, tra uomo e mondo naturale. Lo sforzo da parte dell’uomo – diventato una forza della natura contro la natura, una sorta di controdemiurgo – di imporsi come centro, ha trasformato gran parte del pianeta in una occasione per il suo delirio. Schiavo della struttura del dominio, l’uomo smarrisce se stesso, fino a bruciare la Terra all’insegna della follia. Cancellata ogni altra possibilità, la storia sfocia in una notte di barbarie tecnicamente razionale. Mutata nel suo opposto, la ragione si presenta come Instrumentelle Vernunft che, allucinata, trionfa anche su se stessa inverandosi in una costellazione di catastrofi. Ciò è manifestamente chiaro nella geometrica produzione di sofferenza artificiale, culminante nella morte innaturale di milioni di uomini, nella devastazione dell’ambiente sia in tempo di pace (inquinamento, distruzione della biodiversità, manipolazione genetica – oggi finalizzata al profitto, domani al puro dominio – uso della biologia come ultima frontiera della reificazione), sia di guerra (armi chimiche, batteriologiche, nucleari). Sicché, in questa plumbea fase storica, parafrasando von Clausewitz, risulta evidente che la ‘politica’ è la continuazione, in altro modo, della guerra.
Ma c’è un’altra via. Abbiamo bisogno di una civiltà che ponga le condizioni necessarie per una lotta senza quartiere contro la moltiplicazione geometrica del dolore, per l’inveramento di un ordine nel quale la vita possa sentirsi sicura, divinizzata, leggera, armonica, aurea, tenera, benigna, trionfante. Una civiltà nella quale la differenza sia riconosciuta come valore, come arricchimento comune, piuttosto che come limitazione, impoverimento o danno.
Chi conduce all’essere, fa”. Non esiste formulazione concettuale più completa del fare quanto questa che Platone dà nel Sofista (219b). La lingua greca, da Omero a Plutarco, concentra nel verbo “poiein” il significato più ricco e radicale di ogni forma di agire, estendendolo lungo la scala dei significati raccolti nei sostantivi “poietés” e “poiésis”. Il fare dell’uomo, il principio della molteplicità delle sue azioni è poiesi demiurgica in termini teoretici e pratici; egli deve costringere la storia a farsi kósmos, a sviluppare bellezza e intelligenza.
Oggi l’uomo ha ancora nelle sue mani i semi dell’aurora, ma non vede la bellezza che circonda la vita e lascia marcire i semi, assassinare i sogni; si ritrova così oggettivato, reificato, congelato in una dimensione che sembra preludere alla morte, al non-senso.
Bisogna imboccare vie nuove, affinché gioia e bellezza si manifestino. Ma non vi è bellezza dove domina la sofferenza. Non si dà bellezza in corpi squarciati, divorati dal dolore estremo. Si dà bellezza solo in ciò che vive in pienezza di forze vitali, o nel dorato tramonto di queste forze, mai nel loro consumarsi in laghi d’orrore. Etica ed estetica sono connesse al trionfo della vita.
Platone attribuisce agli egizi l’invenzione di giardini in forma di scrittura. Agricoltura e scrittura rinviano l’una all’altra e sembrano nascere ai bordi del Nilo e dell’Eufrate. L’agricoltura ordina la terra per ricavarne cibo umano e giardini profumati; così la scrittura ordina il pensiero costringendolo alla misura ed alla grazia (émmetron kaì eúcharin). Basta sangue. Campi arati, frutti e fiori. L’etica si fa estetica; l’orizzonte possibile dell’esistere, estatico.
Mitezza contro ferocia. Giustizia contro orrore. Memoria contro oblio. Il termine greco verità, “alétheia”, iniziante con l’alfa privativo, indica il contrario di oblio, “léthe”, che è anche il contrario di memoria di cui Mnemosyne è la dea. Per l’antico orfismo, memoria e verità sono accomunate dall’avere come opposti l’oblio e la latenza, come la parola ha il suo opposto nel silenzio e la luce nell’oscurità.
Bisogna porre le basi, con ostinazione e speranza, di quella civiltà della gioia che, da secoli, tutti aspettiamo. O finalmente s’intende questo, o la decomposizione dell’esistente sarà inarrestabile e ogni suo lógos possibile imputridirà tanto da rendere irriconoscibile la natura, sfigurato il pensiero, orrenda la storia.
È assolutamente necessario rifondare i valori, innalzare la civiltà, ingentilire il mondo; amare la bellezza, espressione della misura e della grazia ed il sapere ricolmo di forza liberatrice. Bisogna affermare il biocentrismo come categoria fondativa; sostituire il dominio con la responsabilità; riconoscere la diversità come valore; ascoltare l’oceano della vita. Non si tratta di “scendere” verso gli animali (non vi è né alto né basso), ma di aiutare l’uomo a comprendere e a comprendersi; superare la ragione strumentale; combattere la riduzione della vita a cosa; innalzare lo scontro con la follia e la barbarie di un “ordine” del mondo in cui il massimo di sapere coincide con il massimo di vuoto, il massimo di capacità, con il minimo di sapere intorno agli scopi; affermare la complessità del reale non per acquietare le aspirazioni al nuovo, ma per sottolineare la falsità del vecchio; arginare energicamente la sofferenza di uomini e animali; riconoscere il valore inerente di ogni soggetto-di-una-vita; rifondare il concetto di persona su categorie etiche (valore inerente in sé), piuttosto che metafisiche (sostanza); considerare la salute, il benessere del corpo, l’equilibrio ambientale, beni assolutamente primari entro qualsiasi scenario politico.
La lotta per il riordino della vita dà senso alle orme della nostra esistenza indicando una via che inveri la civiltà della bellezza e della giustizia contro il terrore ebete che infuria, contro l’organizzazione dell’insensatezza che lo presuppone e giustifica.
Bisogna annotare, registrare, documentare ciò che era e non è più; conservare i granai della memoria, raccontare i luoghi dimenticati, i fondamenti perduti.
Non esistono formule in filosofia. Compito del filosofo è ancora quello di rimettere in questione il sapere già dato, dare descrizioni adeguate, difendere il diritto, il bisogno di pensare e parlare in termini diversi da quelli dominanti, soprattutto quando ci si trova davanti a sistemi soporiferi di persuasione mediatica, che descrivono ciò che sta succedendo e ciò che significa, eliminando i concetti capaci di comprendere ciò che succede e ciò che significa.
Finché esisteranno uomini capaci d’innalzare il reale inondandolo di luce, testardi nel rifiutare un mondo assurdo, la vita correrà il rischio d’essere salvata, còlta nella sua struggente tenerezza, nella sua incantevole bellezza aurorale.
Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui. Le farfalle multicolori vivono un solo giorno, ma sono sulla Terra da ottanta milioni di anni. Forse sono gli uomini ad essere effimeri ma, se nel loro percorso potessero lasciare più bellezza e giustizia di quanta ne hanno trovata, tutto avrebbe senso, nell’oceano foderato di stelle in cui siamo immersi.
Se l’uomo vorrà assolvere alla funzione di aver cura del mondo, egli sarà custode della simphonía del mondo e quest’ultima sarà per lui una fonte immensa di forza e di bellezza. Per questa possibilità e per questa speranza, il mondo fu chiamato dai filosofi greci kósmos.

Note:

Rinvio necessariamente a due miei lavori: G. Ditadi, I filosofi e gli animali, voll. I-II, Isonomia Ed., 1994, pp. 930 / Torino 2010; Teofrasto (a cura di G. Ditadi), Della Pietà, Isonomia Ed. 1997.

Gino Ditadi, studioso delle ideologie, storico del XIX secolo, filosofo della Deep ecology. Autore/curatore, tra gli altri, de: I filosofi e gli animali, tomi I-II, Isonomia Ed., Este 1994 (la più ampia raccolta di scritti e materiali esistente sul tema, dall’antichità ai nostri giorni); Lev N. Tolstoj, Contro la caccia e il mangiar carne, Isonomia Ed., Este 1994; Giacomo Leopardi, Dissertazione sopra l’anima delle bestie e altri scritti selvaggi, Isonomia Ed., Este 1998 - e Idis Ed. 2011); G. Ditadi, Le grandi religioni e gli animali, Red Ed., Como 1999; Plutarco, L’intelligenza degli animali e la giustizia loro dovuta, Isonomia Ed., Este 2000; Teofrasto, Della Pietà, Isonomia Ed., Este 1997-2005; Erasmo da Rotterdam, Querela Pacis, Lamento della Pace, Idis Ed, Este 2009; G. Ditadi, Rifiuto del sacrificio di sangue ed estensione del diritto agli animali in Teofrasto, in S. Rodotà e P. Zatti, Trattato di Biodiritto, volume VI, Diritto e animali, Giuffrè Ed., Firenze 2012.