Gli animali hanno un’anima?

Alfredo Stirati

Eden
Spesso l’Occidente deride le cosiddette “superstizioni” dell’Oriente, riferendosi a credenze e riti esteriori diffusi in quell’area geografica.
Una delle convinzioni più ridicolizzare e disattese praticamente è quella legata al grande rispetto nutrito per la vita degli esseri viventi, mostrato sia dai buddhisti che dai jainisti, che considerano soprattutto gli animali come dei fratelli minori; si veda, ad esempio, il caso delle vacche sacre in India.
Non intendo trattare la questione, prendendo in esame i vantaggi che ne possono derivare da un punto di vista economico, per alleviare il problema della fame nel mondo, o da un’ottica salutistica, perché questi argomenti sono stati già ampiamente affrontati dalle Associazioni vegetariane ed animaliste, che hanno condotto studi circostanziati in merito, correlati da statistiche e dati inoppugnabili.
Affronterò, invece, un tema collaterale, che presenta però implicazioni volte a stigmatizzare le barbariche uccisioni effettuate quotidianamente nei mattatoi, nonché la pratica della vivisezione.
Il quesito che propongo alla vostra attenzione è questo: gli animali hanno un’anima?
Se si perverrà a delle conclusioni che fanno propendere per una risposta affermativa, si dovrà convenire che la condotta dell’Occidente è quantomai riprovevole, perché non si rispettano degli esseri molto simili, se non identici per certi aspetti, alla specie umana.
Si potrebbe obiettare: chi non tiene conto della vita dei propri simili nelle numerose guerre che insanguinano il pianeta, come può commuoversi per le sofferenze inflitte ad un animale, ritenuto (anche se a torto) nemmeno lontanamente paragonabile a un essere umano?
La scusa più comunemente avanzata è quella della necessità della dieta carnea per il sostentamento, cosa smentita però da un esercito di dietologi e nutrizionisti, nonché dall’esempio vivente di milioni e milioni di persone che non la praticano e ciononostante vivono meglio, evitando malattie gravi, come l’azotemìa, i tumori al colon, l’ipertensione, la colesterolemìa, diffuse invece nei Paesi in cui vige.
Ammettendo tuttavia per ipotesi che ciò sia vero, come giustificare però la pratica della caccia che, almeno nel mondo moderno, non può essere spacciata per indispensabile? Essa è solo uno sport crudele.
Credo che la maggioranza della popolazione si adegui ad una dieta carnea per due motivi: per consuetudine ormai inveterata e perché non deve uccidere un essere vivente per cibarsi del suo corpo.
Del resto, sarebbe interessante registrare le reazioni mostrate non dico da persone ipersensibili, ma anche solo normali di fronte alle scene raccapriccianti che si svolgono ogni giorno nei mattatoi. Si vedrebbe allora che quasi tutti rifuggirebbero da tali spettacoli orribili.
Si tramanda che nell’antica Sparta, dove non si indulgeva troppo a coltivare sentimenti gentili, veniva messo a morte chi avesse torturato un animale per divertimento.
Nel mondo moderno, invece, che pure si professa cristiano, vige il diritto del più forte e non ancora la forza del diritto. Solo alcune Associazioni cominciano a rivendicare, oltre al rispetto dei diritti umani, anche la tutela degli animali che non possono difendersi dinanzi ai tribunali, ma che spesso dimostrano di possedere caratteristiche che li avvicinano in modo sorprendente, se non addirittura li accomunano agli esseri umani.
Penso che coloro che dimostrano insensibilità per gli animali finiscano per comportarsi allo stesso modo anche verso i propri simili.
Comunque, l’atteggiamento dominante viene giustificato appellandosi anche all’insegnamento ufficiale della Chiesa cristiana, secondo cui l’anima dell’animale muore col corpo.
Ecco, quindi, che si pratica la vivisezione con noncuranza, adducendo la tesi machiavellica secondo cui il fine giustifica i mezzi. Il nobile obiettivo, in questo caso, sarebbe quello della salvaguardia della salute umana.
In realtà, si è riusciti solo a localizzare alcune facoltà e moti cerebrali, perché l’aver testato prodotti farmaceutici sugli animali si è spesso rivelato generalmente inutile, spesso discutibile ed a volte addirittura disastroso, nel caso in cui le reazioni dell’essere umano si sono rivelate diverse.
Accade così che alcuni farmaci vengano ritirati, come il talidomìde che produceva malformazioni nel feto, oppure che insorgano malattie iatrògene, cioè indotte da medicine immesse sul mercato perché giudicate innocue.
Altra giustificazione si trova nella Genesi (I, 27-28) dove si darebbe ad Adamo il “dominio” sugli esseri viventi. L’interpretazione corrente è che l’uomo, in virtù di questa investitura divina, avrebbe il potere di vita e di morte sui propri fratelli minori.
In realtà, anche all’interno della Chiesa, si comincia a pensare che il significato dei versetti biblici sia quello di ben amministrare il regno inferiore.
Del resto, da sempre, anche grandi santi riconosciuti dall’istituzione ecclesiastica - come S. Francesco celebrato il 4 ottobre, S. Antonio abate festeggiato il 17 gennaio, il medico S. Rocco ricordato il 16 agosto- hanno dimostrato di volersi condurre in modo ben diverso, ricollegandosi alla sensibilità orientale prima ricordata, secondo cui, uccidendo un animale, sia pur esso un insetto, s’interferirebbe con il processo dell’evoluzione che dai più bassi gradi dell’essere giunge fino all’uomo ed oltre.
Quindi, anche all’interno del credo cristiano si notano differenze e contraddizioni a volte macroscopiche.
Infatti, comunemente si dice che l’uomo innalza lo sguardo al cielo, perché quella è la sua origine e la sua destinazione, mentre l’animale fissa il terreno, essendo una creatura inferiore.
Però, la Genesi ricorda che Dio creò e benedisse sia l’uomo (I, 27-28) che le balene (I, 21-22); del resto, è anche scritto che le origini dell’uomo non sono poi nobilissime, se costui è formato dalla polvere della terra (Gen. II,7). Come la mettiamo, infine, se perfino il dottissimo Salomone avanza dei dubbi circa i privilegi di cui godrebbe l’essere umano? Egli si chiede, infatti: “Chi sa se il soffio dell’uomo sale in alto e quello delle bestie scende in basso?” (Eccl. III, 21).
Del resto, sempre la Genesi (I, 29) invita l’uomo a nutrirsi dei frutti degli alberi e non degli animali. I cristiani primitivi si attenevano rigorosamente a questo precetto e non si cibavano di carne, come ricorda Minucio Felice: “Noi cristiani rifiutiamo di assaggiare pietanze in cui potrebbe essere stato mescolato il sangue animale” (“Octavius” cap. XXX).
Si legge, infatti, nel Levitino (XXIV, 18) di non uccidere animali e nell’Esodo (XX, 11-12) che il riposo del sabato e l’anno sabbatico andavano estesi anche agli animali, collocati su una base di parità con l’uomo.
Forse, tutto deriva dalla malintesa distinzione tra uomo ed animale, in quanto dotato di spirito (ruach) il primo e di anima (nephesh) il secondo. In realtà, il soffio vitale (nephesh) fu insufflato in ambedue.
Quindi, l’anima e lo spirito vanno intesi come le due estremità di una scala ascendente; tutto deriva dall’Anima Universale o Spirito e tutto ad Esso ritorna nel processo evolutivo delle creature, che procede appunto dal minerale al vegetale all’animale all’uomo.
Erra pertanto l’induismo quando crede alla trasmigrazione di un’anima umana in un corpo animale, ma è nel giusto quando attribuisce anche agli animali un’anima, principio comune al genere umano ed alle bestie.
Certo, bisogna intendersi sul concetto di anima, che è duale: anima animale, caratterizzata da uno spirito di gruppo e guidata dall’istinto ed anima umana, individualizzata e dotata di una mente razionale ed intuitiva, capace di collegarla al divino.
In questo ci aiuta l’apostolo Paolo (Rom. VIII, 21), quando dice che anche l’animale attende la liberazione dai legami della corruzione; ciò non sarebbe possibile, se non fosse dotato di un principio almeno intermedio tra corpo e spirito, in grado di condurlo progressivamente alla meta finale.
I Maestri orientali, dal canto loro, affermano che questa evoluzione degli animali avverrà in una prossima manifestazione universale, ma ciò non toglie nulla alla nobiltà dei regni biologici inferiori, tutti emanati dalla medesima Origine che ha dato vita agli esseri umani.
La confusione in proposito si genera a causa delle errate interpretazioni degli esegeti che, in ultima analisi, possono definirsi opinioni umane soggette ad errore; pertanto, improponibili come dogmi.
Un esempio banale è dato dalla convinzione , diffusa in alcuni periodi storici, dell’assenza di anima non solo negli animali, ma anche nella donna o in alcune razze ritenute inferiori e, quindi, da schiavizzare, come è accaduto agli indios o ai neri.

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L’errore di fondo, per cui si distingue nettamente il destino degli uomini da quello degli animali, è originato dalla fede in una creazione speciale che separa per sempre gli uni dagli altri.
Opinioni diverse coltivano invece gli induisti, i buddhisti, gli evoluzionisti ed in genere gli scienziati moderni.
Volendo esaminare in sintesi le varie teorie, si può dire che il mondo cristiano, sulla base dei testi biblici e delle interpretazioni scolastiche, ammetta la presenza di un’anima temporanea, ma neghi quella di un’anima immortale negli animali; gli evoluzionisti orientali, invece, ritengono un peccato contro il progresso della natura uccidere un animale, anche per l’errata credenza nella metempsicosi; gli evoluzionisti occidentali, infine, negano tout court l’esistenza dell’anima, sia perché non può essere dimostrata dalla ricerca scientifica, sia perché tutta la creazione è vista come opera di un’ imprecisata forza della natura che agisce per caso e senza alcun fine.
Tra le varie ipotesi però occorre mediare, se non si vuole incorrere in contraddizioni.
Infatti, la Chiesa impone di credere ai miracoli compiuti dai santi; ora, siccome tra questi prodigi sono comprese anche alcune resurrezioni di animali (v. “Acta sanctorum” del gesuita Jean de Bolland 1596-1665, nonché alcune affermazioni di papa Benedetto XIV), se la loro anima muore col corpo, quale principio può rianimarlo?
Del resto, i materialisti definiscono l’essere vivente come un automa, seppur dotato di sentimenti come l’amore e la gratitudine, oppure di facoltà come la memoria, anch’ essi tuttavia attribuiti a proprietà della materia. Così facendo, però, si elimina ogni distinzione tra uomo ed animale e non si sa spiegare perché nessuna scimmia abbia mai scritto la Divina Commedia.
Si deve postulare, allora, una soluzione intermedia che possa risolvere il problema. Altrimenti, si deve ricorrere ad arzigogoli teologici o a sofismi dialettici per nulla convincenti, che in questa sede vi risparmio.
Fatto sta che la scienza da tempo ha assodato che nulla si crea e nulla si distrugge; pertanto, se l’animale mostra di possedere delle facoltà indipendenti dal corpo, queste non possono perire del tutto. L’animale ha memoria, decodifica il linguaggio umano, mostra doti di preveggenza nei confronti di fenomeni naturali come tempeste e terremoti. Quindi, pur non arrivando a possedere qualità umane, è prossimo ad acquisirle.
Ora, se la definizione di istinto è vaga, quella di intelligenza è inappropriata. Si può dire allora che l’anima animale e quella umana differiscano in sviluppo e perfezione, pur rivelando un’identica essenza?

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Molti scrittori cattolici romani, tra cui il famoso conte de Maistre, definiscono l’anima animale “una forza”. Anche il de Mirville ricorda che il principio vitale “nephesh” proviene dalla terra, intesa non tanto come “polvere” o materia di cui sono formati i nostri corpi, ma piuttosto come “forza immateriale” che sostanzia l’elemento fisico. Lo stesso Autore aggiunge che l’anima animale, per questo motivo, è “l’anima più rispettabile dopo quella dell’uomo”.
Dal punto di vista della forza vitale, le anime dell’uomo e dell’animale sono identiche, quindi.
Anche il filosofo Leibnitz, in due volumetti sull’argomento, non crede che l’anima animale si annienti dopo la morte corporale.
Del resto, il Vecchio Testamento parla solo del soffio vitale, non di un’anima immortale; e ciò vale sia per l’animale che per l’uomo. Tuttavia, la scienza materialistica insegna l’indistruttibilità della materia e la sua costante evoluzione.
Il Nuovo Testamento, invece, è più chiaro in merito. Infatti, San Paolo (Rom. VIII, 16-23) invita a sopportare le sofferenze terrene per conquistare la “gloria” futura, cioè uno stato dell’essere più evoluto. Da questa resurrezione non sono esclusi gli animali: “La creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione”; il che significa che anche l’anima animale si manifesterà in una forma più alta, fino a raggiungere lo stato più eccelso dei “figli di Dio”.
Il tutto va inteso in tal senso: dal minerale al vegetale, dall’animale all’uomo, dallo spirito a Dio tutto si muove in una grandiosa e graduale ascensione.
Per ora” - dice l’Apostolo iniziato - sia l’uomo che l’animale sperimentano la sofferenza nel loro cammino evolutivo. Per ora, dunque, non per sempre!
Certo, l’essere umano è dotato di quelle che Paolo chiama “le primizie dello Spirito”, cioè l’Atma e il Manas, l’Io divino e la mente razionale ed intuitiva; l’animale non li ha ancora sviluppati e per questo il suo karma, cioè la sua responsabilità, è meno pesante, ma in futuro salirà di piano.
Allora, la speranza in un’apokatàstasis, cioè in una redenzione universale, vale per tutte le creature.
Anche i Veda, i sacri testi dell’antica India, insegnano che i “semi” di tutte le creature sopravvivono alla periodica distruzione universale (pralaya), per manifestarsi in un mondo rinnovato e più evoluto. A tal proposito, il mito dell’arca di Noè non fa che ricalcare queste antichissime tradizioni.
In base a tutte queste considerazioni, anche l’animale va dunque rispettato e protetto. Ecco perché la vivisezione e la macellazione sono pratiche barbariche che in futuro verranno bandite, come con spirito profetico aveva previsto il grande Leonardo da Vinci: “Verrà un giorno in cui gli uomini si vergogneranno delle sofferenze inflitte agli animali”.