Il telefono del vento è anche dentro di noi

telefono del vento Giappone
Nel 2010 in Giappone Sasaki Itaru costruì una cabina dotata di un telefono senza fili e senza connessioni digitali per continuare a dialogare con il cugino, da poco scomparso. Questo “telefono del vento” divenne meta di pellegrinaggio a partire dall’anno successivo, quando lo tsunami che colpì Fukushima e l’immane tragedia che ne seguì portarono molte persone a cercare un contatto con i propri cari venuti a mancare.
Il romanzo di Laura Imai Messina, “Quel che affidiamo al vento”, ha fatto conoscere in Italia questa storia e cabine con telefoni simili sono sorte in provincia di Bergamo (Alzano Lombardo) e vicino a Genova (Cogoleto).
In occasione del Solstizio d’inverno è stato inaugurato un nuovo “telefono del vento” a San Pietro Belvedere, nel comune di Capannoli (PI). In cima a un colle una bianca cabina di legno è disponibile non solo a chi voglia dialogare con i propri cari che non ci sono più ma anche a chi desideri affidare al vento i propri sogni, le proprie meditazioni, i propri ricordi.
La variante italiana del “telefono del vento” diventa dunque non solo luogo del ricordo ma anche luogo dell’anima e finisce per assumere un carattere sia poetico sia simbolico, a dimostrazione di come l’uomo possa, pur in un’era dominata dalla tecnologia, ideare e vivere esperienze che ci ricordano la nostra capacità di dialogare con la dimensione dell’essere e con quella dell’infinito.
Il “telefono del vento” è anche dentro di noi.
Immagine modificata a partire da: "Ōtsuchi wind phone 5" di Matthew Komatsu, rilasciata sotto licenza CC BY 4.