Integrità e disciplina secondo J. Krishnamurti

J. Krishnamurti
Nel maggio 1980, mentre si trovava a Ojai in California, Krishnamurti rispose così a una domanda che gli era stata posta: “La parola buono significa che va bene; significa che non c’è attrito; buono significa anche intero e non qualcosa che è a pezzi, in frantumi”. Dalle sue parole emerge un ulteriore e fondamentale aspetto del fatto educativo visto con un approccio teosofico. Si tratta dell’“integrità” dell’essere umano. Integrità, dice Krishnamurti, “significa essere interi, significa dire quello che veramente si intende, e non dire una cosa e poi farne un’altra. Integrità implica onestà… se vogliamo insegnare ai giovani, dobbiamo sentire in noi stessi una profonda esigenza di bontà. La bontà non è un ideale, è essere interi, integri, bontà significa non avere paura”.
L’approccio pedagogico krishnamurtiano esalta il fatto metodologico e tende a superare la divisione fra concreto e astratto. Afferma ancora J.K.: “La disciplina deve essere priva di controllo, di repressione, senza alcuna forma di paura … Non è prima disciplina e dopo libertà, è libertà proprio fin dall’inizio, non alla fine. Comprendere questa libertà, che è libertà dal conformismo della disciplina, è in se stesso disciplina. Proprio l’atto di imparare è disciplina, proprio l’atto di imparare diventa chiarezza. Comprendere l’intera natura e struttura del controllo, della repressione e dell’indulgenza richiede attenzione. Non dovete imporre la disciplina per poter studiare, è proprio l’atto dello studiare che genera la propria disciplina in cui non c’è repressione”.