Teosofica, animalismo e vegetarianesimo

Alfredo Stirati

Vero teosofo non è colui che, in una vita trascorsa nello studio di antiche dottrine, accumula un sapere puramente teorico da sfoggiare in svariate occasioni per trarne riconoscimenti e prestigio, bensì colui che è capace di mettere in pratica gli insegnamenti elargiti dai Maestri e divulgati dai Loro mediatori.
È sempre utile ricordare che, all’atto di fondazione della Società Teosofica in quell’ormai lontano 17 novembre 1875 a New York, il primo punto del programma condiviso da tutti i Fondatori di quel Movimento destinato a diffondersi ben presto nel mondo, era quello di formare un “nucleo di Fratellanza universale”.
Ora, chi intende percorrere il Sentiero Interiore deve eliminare ogni pregiudizio nei confronti dei nostri simili, evitando di operare distinzioni di razza, di credenza, di sesso di casta o di colore, servendo il prossimo in modo gioioso ed impersonale, ma non ci si può e non ci si deve limitare al rispetto degli esseri umani.
È opportuno e doveroso, pertanto, dimostrare affetto, comprensione e compassione anche nei confronti dei nostri fratelli minori che ci attorniano e ci accompagnano nella nostra avventura terrena.
Intendo riferirmi alle piante ed agli animali, forme di vita necessarie ad assicurare un equilibrato ed armonico sviluppo di tutto l’ecosistema.
Tutto ciò che esiste è una manifestazione di un Pensiero divino emanato da una Mente universale a cui tutto ritorna in un processo circolare.
È dovere primario dell’umanità quello di ben amministrare questo patrimonio affidatole non per depredarlo e distruggerlo a suo piacimento, ma per inserirsi al suo interno in modo intelligente e rispettoso delle Leggi che lo governano.
Il vero teosofo, quindi, ripudia la caccia come sport crudele e barbarico, soprattutto oggi quando essa non rappresenta più un mezzo indispensabile per la sopravvivenza, preferendo nutrirsi di cibi che non comportino la distruzione di una vita capace di avvertire emozioni e sentimenti simili ai nostri.
Nega valore alla vivisezione rivelatasi pressoché inutile, se non addirittura dannosa, qualora serva a testare farmaci che producono esiti diversi se sperimentati dapprima su un organismo animale e poi inoculati in quello umano.
Aborre le torture inflitte per puro guadagno negli allevamenti intensivi, come l’insulso spettacolo offerto nei circhi, negli zoo e nei delfinari per lo svago di annoiati spettatori.
È per questa serie di motivi che uno stuolo di Maestri, mistici, filosofi di ogni epoca e di varie aree geografiche hanno consigliato il vegetarianesimo, se non addirittura di adottare una dieta vegana, che elimina anche i sottoprodotti animali come il latte ed i suoi derivati, nonché le uova.
Si badi bene che una simile scelta è dettata non solo e non tanto per assicurare una maggiore longevità e salute ai suoi seguaci, come ormai ampiamente dimostrato da studi medici accreditati, ma anche per senso di compassione frutto di una coscienza più evoluta rispetto a quella della massa s, il cui dio è il ventre.
L’argomento si presta ad innumerevoli ulteriori considerazioni, ma concludo citando alcune frasi tratte da “La chiave della Teosofia” ultima opera della Blavatsky, upasika cioè discepola prescelta dai Maestri transhimalayani: “Ogni tipo di tessuto animale… conserva sempre certe caratteristiche dall’animale da cui proviene… mostrando un effetto grossolanizzante o animalizzante sull’uomo”. E più oltre: “Consigliamo agli studiosi veramente seri di servirsi di un cibo che sia il meno possibile occludente e gravoso per il cervello e il corpo, e che abbia minore effetto nell’impedire e ritardare lo sviluppo della loro intuizione, delle loro facoltà e poteri interiori”. “Molte malattie sono dovute all’uso della carne e soprattutto ai cibi in scatola”. Tuttavia: “Le azioni corporee hanno minore importanza di quello che un uomo pensa e sente, ossia i desideri che incoraggia nella mente… Gli alcoolici sono peggiori della carne per lo sviluppo morale e spirituale; l’alcool ha un effetto distruttivo sullo sviluppo dei poteri interiori, inferiore soltanto all’uso di droghe”.