Realizzazione del dialogo fondamentale

Sonia Sigurtà Braibanti

Nella condizione di più lacerato dilemma culturale ed etico quale si va prospettando la liquidità sociale del nuovo millennio, la realizzazione del dialogo fondamentale con tutte le specie viventi è importante e necessaria per poter fondare un sicuro presupposto di pace ed ecologia, allontanando lo spettro funesto dei conflitti antropocentrici che hanno rigato di sangue innocente la storia del rapporto con le multiformi presenze di vita e prospettare un futuro che si riappropri di speranza, ottimismo, relazione, bellezza ed armonia.
È perciò di vitale importanza in ordine alla realizzazione sia della pace fra tutti i viventi come del bene comune, rendersi conto che tale pluralismo relazionale non debba essere territorio di utopia romantica, bensì soggetto ad un’interpretazione di rinnovato umanesimo, finalizzata alla concretizzazione della pace e del benessere di tutti gli esseri.
In questa prospettiva di un dialogo circolare, caratterizzato dal duplice movimento del “dare-ricevere”, diventa oltremodo chiaro che la sua promozione verta nello sviluppo una cultura etica in cui tutte le espressioni di vita e quindi di sensibilità vengano accolte come soggetti che godono di pari dignità: educare al rispetto globale della vita, al dialogo non legato alla verbalizzazione ma alla condivisione fondata sulla implicita ricerca di felicità di ogni essere, impedendo nel contempo al potere umano di agire con qualsivoglia violenza nei confronti della diversità di specie.
È l’uomo, ancora e più che mai, il protagonista dello sviluppo e della salvezza di questo contaminato pianeta, nella stretta e fondamentale relazione con l’ambiente, la natura, la vita. Questa formazione ed evoluzione delle coscienze operata attraverso il dialogo interspecista può portare ogni uomo, non ad “avere di più”, ma ad “essere di più”. “L’etica riguarda l’incontro con l’Altro in quanto Altro e non come identità, sempre meno come differenza. È basata sulla richiesta di libertà dell’altro, sul rispetto per la sua complessità,... il luogo adeguato per un’etica della diversità è la relazione... e non l’azione dell’uno sull’altro...”. (M.Abdallah-Pretceille)
Nel contesto contemporaneo è più che mai evidente che il cosiddetto “bene comune” non può consistere nella semplice sommatoria dei possedimenti particolari del solo soggetto umano, bensì in qualche cosa di più e di diverso, che comprende necessariamente l’estensione ad ogni soggetto vivente dei valori primari di poter essere la sua storia evolutiva, la propria libertà di espressione, l’insieme di quelle condizioni per cui il respiro di Gaia possa raggiungere la propria perfezione pienamente e celermente.
Tali principi dovrebbe essere fondanti e sanciti sia nella costruzione evolutiva individuale che nell’ordinamento sociale e come tali legiferati, implicando che siano tutelati tenacemente altri due altri principi: che il bene comune esige sempre di essere servito non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte, che coloro ai
quali compete la responsabilità pubblica siano tenuti ad interpretarlo non soltanto secondo gli orientamenti di stampo prettamente antropocentrico, ma nella prospettiva della sua estensione effettiva a tutti i membri della comunità vivente. La realizzazione concreta di questi tre principi costituzionali fondamentali (uguaglianza ontologica di tutti gli esseri, bene comune di un pianeta, potere inteso come collaborazione e dialogo) nella società contemporanea non si dà senza uno sviluppo efficace e completo dell’etica umanistica, non essendoci possibilità di realizzazione di bene comune oggettivo senza la sua promozione a livello individuale e collettivo. Una società evoluta non riduce, bensì completa in modo significativo ciò che insegnavano le antiche tradizioni spirituali circa la possibilità di cogliere il significato proprio dello sviluppo solo se ricollegato al benessere di ogni singola parte del tutto. La ricerca del consenso su valori universali (la libertà come perno centrale dei diritti dei viventi, la dignità di ogni essere, la non violenza, i principi di compassione e solidarietà, ecc.) da una parte impedisce il progredire della distruzione ambientale che riduce l’unità di tutti i viventi a semplice uniformità, dall’altra obbliga ad accorgersi che gli elementi universali dell’identità non sono frutto di una posizione culturale di stampo culturale centrista o casuale. In altri termini, la sostanza del problema degli elementi universali iscritti nell’identità della vita non è né specista, né soggetta ad una discutibile scala di sviluppo piramidale, bensì “relazionale”.
La corretta interpretazione delle differenti modalità espressive degli esseri esige non solo di ricercare la verità o valore ultimo su cui si fondano, ma anche che tale ricerca va compiuta tenendo presente che il cammino ermeneutico o processo interpretativo non è mai “una strada a senso unico”, presuppone uno sforzo comparativo, interdisciplinare, globale, capace di rinnovare gli strumenti concettuali e metodologici delle discipline speculative, antiche e contemporanee, coinvolte in questo lavoro.
Il bene comune fondato sui diritti di tutti i viventi non si può realizzare unicamente con l’applicazione di legislazioni corrette e di tutela ambientale, neppure mediante un semplice equilibrio fra posizioni contrastanti, bensì rafforzando gli sforzi per reinterpretare con freschezza ed entusiasmo i fondamenti ontologici della vita. Ciò sarà tanto più efficace quanto maggiore e rigoroso sarà il confronto fra scienza e consapevolezza spirituale, anzi, è necessario che in tale prospettiva dialogante, si sappia mostrare una rinnovata capacità di rispondere ai problemi concreti posti dalla comunità vivente.
In definitiva, la trasformazione verso una cultura evoluta è dunque dettata dal profondo desiderio di dare una risposta immediata e qualificata a quella “chiamata di responsabilità” di ogni persona. “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato” (Benedetto XVI) risulta essere di fondamentale importanza in ordine alla promozione dei valori universali che costituiscono il fondamento primo e ultimo di ogni società civile. Si tratta di rispettare la vita nel suo valore ontologico e nella sua piena dignità in quanto “essere”, prescindendo dalla specie di appartenenza. Solo proteggendo e riconoscendo le diversità come risorse, non come cibo e terreno di dominio e violenza, potremmo continuare ad abitare ed evolvere in questo pianeta, arricchendo l’esistenza condivisa di felicità, di consonanza. Il superamento di un arcaico
antropocentrismo include l’inossidabile consapevolezza del nostro ruolo indispensabile per la salvaguardia di ogni essere vivente appartenente all’ecosistema terrestre, realizzazione del nobile sentimento della compassione come riproposizione nel mondo dell’ideale di bellezza, di armonia e moderna sintesi kantiana dello stupore umano nei confronti del cielo stellato nonché della personale aderenza morale al suo misterioso ordine.