Il crocifisso del mediterraneo

crocifisso del mediterraneo
Condividiamo con tutti i lettori questa riflessione del prof. Egidio Lucchini, scrittore ed editorialista, ma soprattutto persona di grande e intelligente sensibilità. Sarà lui ad accompagnarci in una delle realtà di più acuta sofferenza ma anche a riportarci nella dimensione della speranza.

Al termine della visita a Cuba di papa Francesco, il presidente Raul Castro gli ha donato un crocifisso, la cui croce è realizzata simbolicamente con dei remi, legati con delle corde, per ricordare le traversie e le tragedie dei migranti. L’opera, alta cm 340 e larga cm 275, è stata eseguita dall’artista cubano Alexis Leyva Machado, noto come “Kcho”. A sua volta nei mesi scorsi papa Francesco ha offerto il crocifisso alla diocesi di Agrigento perché lo collochi nella parrocchia di Lampedusa. L’arcivescovo e cardinale Francesco Montenegro, l’unico presule prescelto ad accompagnare il Papa durante la sua storica visita a Lampedusa nel luglio 2013, l’ha denominato “Il Cristo del Mediterraneo”.

Forse sarebbe preferibile chiamarlo “Il Crocefisso del Mediterraneo”. Perché ogni qualvolta un migrante muore nella traversata, Cristo viene crocifisso. E il 13 ottobre 2013 venne crocifisso e giace tuttora sepolto nel Mediterraneo insieme ai 366 morti annegati, di cui 41 minori, oltre a 20 dispersi. Il barcone che li aveva a bordo trasportava migranti provenienti da Eritrea, Somalia e Ghana e si ribaltò a pochi metri dall’isola dei Conigli. Si salvarono soltanto in 155. Per il passaggio, ogni migrante aveva pagato tremila dollari ai trafficanti.
Si riportano alcune amare riflessioni intorno a tale “orrore in fondo al mare” scritte da Attilio Bolzoni sulla Repubblica del 15 maggio 2014. “Guardate questi corpi che si abbracciano, in fondo al mare. È tutto quello che resta di loro. Corpi. Su uno sfondo azzurro, bello, dove intorno sembrano nuotare anche i pesci o forse sono solo piccole boe trascinate giù dalle correnti. Guardate e poi ripensate alle parole: naufragio, migranti, Mediterraneo. Scivolano così velocemente che neanche ce ne accorgiamo, le ripetiamo o le scriviamo sempre il giorno dopo, un reportage, un titolo, un numero – 120, 285, 366 – che riferisce la portata della tragedia. È un’altra di quelle parole: tragedia, tragedia del mare…”.

Cristo è crocifisso ogni volta che un bambino muore e viene sepolto in mezzo al Mediterraneo. Si riprendono alcuni passaggi struggenti di Sola andata di Erri De Luca (Feltrinelli, 2014).
“Notte di pazienza, il mare viaggia verso di noi, / all’alba l’orizzonte affonda nella tasca delle onde. / Nel mucchio nostro con le donne in mezzo / un bambino muore in braccio alla madre: / lo calano alle onde, un canto a bassa voce. / Il mare avvolge in un rotolo di schiuma / la foglia caduta dall’albero degli uomini… / Devi tornare a casa. Ne avessi una restavo. / Potete respingere, non riportare indietro, / è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata. /Faremmo i servi, i figli che non fate…”.

Cristo è crocifisso ma poi risorge, anzi rinasce bambino in un luogo rifiutato, se una donna incinta attraversa il Mediterraneo ma poi resta intrappolata nella tendopoli di Idomeni, tra la Grecia e la Macedonia, e il suo neonato viene lavato con l’acqua di una bottiglia di plastica, sopra il fango che copre il campo. Melania Mazzucco sulla Repubblica del 14 marzo scorso ha pubblicato una tremante lettera a un bambino nel limbo dei profughi senza nome.
“Tu devi vivere. Per te, minuscola creatura senza nome venuta al mondo sotto un cielo di pioggia su un materasso di fango. Ma anche per noi, che ti guardiamo inteneriti e ipocriti – disposti a piangerti morto e però non disposti ad accoglierti vivo. Sei l’ennesimo: un numero di troppo, in una somma con tanti zeri. Se l’acqua con cui ti hanno lavato non sarà stata troppo fredda, se i microbi e i batteri che proliferano nella fetida melma pestata da scarpe esauste non infetteranno la ferita del cordone ombelicale, allora anche per noi ci sarà perdono”.
nascita a Idomeni