Glossario

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VECCHIO DELL'OBI

 
(Ori.) - Un idolo molto venerato dal popolo degli Ostiachi, stanziato nella Russia europea, che lo considerano propiziatore della pesca.

VEDA

 
(San.) - La "rivelazione", le scritture degli Indù, dalla radice vid, "conoscere" o "conoscenza divina". Rappresentano il sapere per eccellenza degli Arii dell'India antica e sono ripartiti in quattro grandi gruppi: i primi tre corrispondono a tre categorie di sacerdoti del sacrificio Vedico, il quarto contiene formule magiche ed è considerato inferiore. I gruppi sono: -Rig Veda, Inni agli Dei; raccolta originale, la più importante di tutte; -Samaveda, Canti sacrificali; Veda delle melodie, dedicato alla pratica sacrificale ed al canto liturgico; -Yajurveda, Formule sacrificali; è in parte originale, in parte ricavato dal Rig Veda; -Atharveda, Canti magici; raccolta originale di varie formule magiche la cui struttura ne rivela l'origine popolare. Sono le opere sanscrite più antiche e più sacre, una raccolta di canti e sentenze tramandate in origine oralmente e solo più tardi messe per iscritto. Servivano per il culto senza immagini di divinità naturistiche e di altro genere. I Veda sono stati redatti in epoche diverse; la loro datazione non trova due Orientalisti che siano d'accordo; sono rivendicati dagli stessi Indù, i cui Brahmani e Pundit dovrebbero conoscere meglio le loro opere religiose, come insegnamento dapprima orale per migliaia di anni, e poi compilati sulle rive del lago Manasa-Sorawa (foneticamente Mansarovara) oltre l'Himalaya, in Tibet. Quando avvenne ciò? Mentre i loro istruttori religiosi, come Swami Dayanand Saraswati, attribuiscono ai Veda un'antichità di molte decine di ere, i nostri moderni Orientalisti assegnano ad essi, nella loro attuale forma, un'antichità non maggiore di 1.000 o 2.000 anni a.C.. Come furono compilati nella loro forma definitiva da Veda-Vyasa, comunque, i Brahmani stessi, unanimemente, assegnano una datazione di 3.100 anni prima dell'era Cristiana, periodo in cui fiorì Vyasa. Quindi i Veda devono essere databili a questo periodo. Ma la loro antichità e sufficientemente provata dal fatto che sono scritti in una forma Sanscrita, così diversa dal Sanscrito usato oggi, che non vi è nessun'altra opera, simile ad essi nella letteratura di questa sorella maggiore di tutte le lingue conosciute, come la chiama il Prof. Max Muller. Solo i più dotti Brahmani Pundit possono leggere i Veda nell'originale. Si suppone che Colebrooke abbia scoperto la data del 1.400 a.C. corroborata in pieno da un brano che egli scoprì, e che è basato su dati astronomici. Ma se, come è unanimemente dimostrato da tutti gli Orientalisti e anche dai Pundit Indù, (a) i Veda non sono una opera singola, così anche ciascun Veda preso separatamente; ma che ciascun Veda, e quasi ogni inno e divisione di quest'ultimo, è la produzione di autori diversi; (b) essi sono stati scritti (sia come sruti, "rivelazione", o no) in periodi diversi della evoluzione etnica della razza Indo-Ariana, allora - quale prova ha scoperto Mr. Colebrooke? Semplicemente che i Veda furono definitivamente sistemati e compilati quattordici secoli prima della nostra era; ma questo non interferisce in nessun modo con la loro antichità. Esattamente il contrario; poiché, a controbilanciare il brano di Colebrooke, vi è un dotto articolo, scritto su dati puramente astronomici da Krishna Shastri Godbole (di Bombay), che prova in pieno e sulla stessa evidenza che i Veda devono essere stati insegnati almeno 25.000 anni fa. (Vedi Theosophist, vol.II. p.238 e seguenti - Agosto 1881). Questa dichiarazione, se non sostenuta, è, in ogni modo, non contraddetta da ciò che il Prof.Cowell dice nell'appendice VII alla Storia dell'India di Elphinstone: "Vi è una differenza di epoche fra i vari inni, che ora sono legati nella loro attuale forma come il Sanhita del Rig-Veda: ma "non abbiamo nessuna data per determinare la loro relativa antichità"; e la critica puramente soggettiva, a parte le date sicure, è spesso fallita in altri esempi, al punto che possiamo credere solo a qualcuna delle sue inferenze in un campo di ricerca da così poco tempo aperto come quello della letteratura Sanscrita. (Nemmeno una quarta parte della letteratura Vedica è stata stampata, e soltanto una minima parte è stata tradotta in inglese (1866)). Le ancora incerte controversie sui poemi Omerici potrebbero ben ammonirci di non fidarci troppo dei nostri giudizi riguardo gli inni più antichi del Rig-Veda ... Quando esaminiamo questi inni . essi sono profondamente interessanti per la storia della mente umana, perchè appartengono ad una fase molto più antica dei poemi di Omero o Esiodo". Gli scritti Vedici sono tutti classificati in due grandi divisioni, exoterica ed esoterica, di cui la prima è chiamata Karma-Kanda, "divisione di azioni o opere", e la seconda Jnana-Kanda, "divisione di conoscenza (divina)", e le Upanishad appartengono a quest'ultima classificazione. Entrambi i dipartimenti sono considerati come Sruti o rivelazione. A ciascun inno dei Rig-Veda è premesso il nome del Veggente o del Rishi al quale esso fu rivelato. Così, diventa evidente, sulla autorità proprio di questi nomi (come Vasishta, Viswamitra, Narada, etc.) che appartengono tutti a uomini nati in vari Manvantara ed ere, e secoli, e forse millenni, che devono essere passati fra le date della loro composizione. I Veda sono la conoscenza per eccellenza, il sapere rivelato; essi costituiscono la sacra tradizione "intuita" o "veduta" dagli antichi veggenti (i Rishi). Sono la trayi vidya (triplice conoscenza) della triplice classe sacerdote inferiore, a cui si aggiungerà l'Atharveda, un testo per gli Atharvan, i sacerdoti del fuoco atharvan, detto anche "atharva-angirasah", di carattere magico ed apotropaico. Di ognuno dei tre Veda originali si distingue: - Samhita, composizione o raccolta, che comprende il testo degli inni, delle formule, dei cantici; - Brahmana, testi rituali in prosa contenenti l'esegesi delle sacre liturgie; - Aranyaka, , breviari per gli anacoreti ritiratisi nelle selve, cultori, più che della parte liturgica, della parte speculativa; - Upanishad, commenti sul rito, sfocianti in elucubrazioni teosofiche che hanno il fine di far conseguire l'esperienza della identità fra lo spirito individuato (Atman) e lo spirito universale (Brahman). In particolare, il più antico dei testi, il Rig Veda, contiene inni ed eulogie rivolti ad un insieme di Dei, i Trentatre, suddivisi in diverse famiglie a seconda delle loro funzioni (Aditya, Rudra, Vasu, ecc.). Questi Deva, ed i numerosi miti loro relativi, documentano lo stadio più antico del pantheon vedico, ed un retaggio di credenze religiose che gli Arii dell'India ebbero in comune con altri popoli indoeuropei. In quanto rivelazione del Brahman, i Veda sono ritenuti essere il Verbo (Vach), manifestantesi attraverso sabda (suoni udibili). Sull'esegesi liturgica dei Veda si fonda il sistema filosofico detto Mimamsa (Indagine), che afferma l'eternità della parola rivelata (Veda) che, nello stadio precedente l'articolazione è il Verbo di cui ogni cosa è essenziata. Il Veda, pertanto, è increato e la sua infallibilità dimostra l'esistenza e la potenza degli Dei, non il contrario. Dalla Mimasa ebbero grande impulso gli studi grammaticali riconosciuti come "Il Veda dei Veda". Secondo Subba Row, i Veda hanno un distinto e duplice significato: uno è espresso dal senso letterale delle parole, l'altro indicato dalla metrica e da svara (l'intonazione). Questo secondo significato è la vera vita dei Veda. Il linguaggio primitivo e puramente spirituale dei Veda, concepito millenni prima dei racconti puranici, trova un'espressione puramente umana per descrivere eventi che ebbero luogo 5000 anni fa, alla data della morte di Krishna, quando per l'umanità ebbe inizio il Kali Yuga, l'Età Nera. I Veda stanno ai Purana come Atman sta al corpo fisico. Si vuole che i Veda siano stati scritti dai Rishi della Quinta Razza, dopo che Atlantide era stata sommersa. I Veda non consigliano mai gli Idoli e sono considerati lo specchio della Saggezza Eterna.

VEDA

 
-VYASA (San.) - Il compilatore dei Veda.

VEDANA

 
(San.) - Il secondo dei cinque Skandha (percezione, sensi). Il sesto Nidana.

VEDANGA

 
(San.) - Letteralmente significa "membro dei Veda", ed è un nome sanscrito che indica un complesso di opere ausiliarie ai Veda, destinate a conservarne come membra il corpo. Scritte nello stile aforistico dei sutra, trattano di rituale, fonetica, metrica, grammatica, etnologia, ecc.

VEDANTA

 
(San.) - Letteralmente, il termine significa "fine della conoscenza", ed indica una delle sei Darsana, o sistemi filosofici. Quale fondatore della moderna scuola del Vedanta è considerato Shankaracharya. Il Vedanta, per certi aspetti, rappresenta la fine dei Veda, l'opera in cui si spiegano le Upanishad, che si trovano alla fine dei Veda, e ne rappresentano il compimento spirituale. I libri del Vedanta (ultima parola della conoscenza umana) svelano solo l'aspetto metafisico della Cosmogonia mondiale. Il sistema filosofico che si ispira a questi libri, trae dai testi sacri concezioni molto diverse, con le più svariate interpretazioni. Alcuni considerano il Vedanta come la vera e propria filosofia dell'Induismo, e del resto esso è molto diffuso in India. Questo sistema, riallacciandosi al contenuto delle Upanishad, elabora con trattazione organica e metodo filosofico la dottrina monistica dell'UNO TUTTO e della non-dualità (advaita), per cui ogni concetto di pluralità insito nel mondo fenomenico è concetto fallace, fondato sull'illusione. Questo sistema mistico di filosofia si è sviluppato dagli sforzi di generazioni di saggi per interpretare il senso nascosto delle Upanishad. Nello Shad-Darshana (sei scuole o sistemi di dimostrazione) è chiamato Uttara Mimansa, attribuito a Vyasa, il compilatore dei Veda, che è così indicato come il fondatore dei Vedanta. Gli Indù ortodossi chiamano il Vedanta - termine che letteralmente significa la "fine di tutta la conoscenza (Vedica)" - Brahma-jnana, cioè conoscenza pura e spirituale di Brahma. Anche se accettiamo le date recenti assegnate alle varie Scuole e ai trattati Sanscriti dai nostri Orientalisti, il Vedanta deve risalire a 3.300 anni fa, poiché si dice che Vyasa sia vissuto 1400 anni prima di Cristo. Se, come ritiene Elphinstone nella sua Storia dell'India, i Brahmana sono il Talmud degli Indù, e i Veda i libri Mosaici, allora il Vedanta può essere chiamato con certezza la Kabalah dell'India. Ma quanto enormemente più grande! Sankaracharya, che fu il divulgatore del sistema Vedantico e il fondatore della filosofia Adwaita, qualche volta è chiamato il fondatore delle moderne scuole del Vedanta. Il Vedanta, che riduce in concetti l'insegnamento delle Upanishad sull'Assoluto e la liberazione, si suddivide in numerose scuole: kevala-advaita (semplice non-dualismo), visishta-advaita (non-dualismo qualificato), dvaita-dvaita (dualismo e non-dualismo), dvaita (dualismo), suddha-advaita (non-dualismo puro). Esso, come "Fine dei Veda", si fonda sulle esperienze esposte dagli Aranyaka e dalle Upanishad; partendo dal presupposto dell'identità atman-brahman, esso deduce in varia guisa il mondo della manifestazione da questa identità, o meglio, dalla sua proiezione nello Spirito Universale, deduce il Purusha. Tale sistema, che ebbe una fase fortemente colorita di Sankhya, assume fra l'Assoluto spirituale ed il mondo pereunte manifesto, un insieme di ipostasi del Purusha, quali il Grande Spirito, o l'Inesplicato, possibilità principale della manifestazione in generale; da questo ricava la Psiche che, come colonna di luce, connette il mondo dello spirito con l'esperienza pensante dell'uomo. Il Vedanta, che in un secondo momento assunse una forte impronta gnostico-settaria, conobbe con Shankara un forte sviluppo della teoria della Maya, concepita quale "illusione cosmica", che fa sussumere come reale un mondo effimero e mutevole da essa stessa creato, quale "Velo" alla Suprema Realtà, immutabile ed ineffabile.

VEDAVYASA

 
(San.) - Altro nome di Vishnu che nell'era Dvapara nella persona di Vedavyasa, divide l'unico Veda in quattro e lo distribuisce in centinaia di branche.

VEDDHA

 
(Sing.) - Il nome di una razza selvaggia di uomini che vivono nella foresta di Ceylon. È molto difficile trovarli. Veddha è anche il nome di un popolo dell'isola di Ceylon, uno dei più rozzi di tutta l'Asia; vive nella giungla, pratica la caccia, si nutre di miele e di radici, abita in grotte o piccole capanne. Come animale domestico hanno il cane. Sono monogami e mantengono la donna in una buona posizione sociale; si suddividono in clan con successione matrilineare. La loro religione si basa sul culto dei defunti, con accenni ad un vago animismo. Figura centrale è lo sciamano; accanto agli spiriti, oggetto di culto è Kande Yaka, lo spirito del cacciatore, che si collega ad un altro spirito, ad esso superiore, chiamato Bilindi Yaka. Esiste anche un Signore degli animali. Tutte queste divinità partecipano alle cerimonie per i defunti, proteggono la caccia e ricevono offerte sacrificali.

VEDHA

 
(San.) - I Figli di Brahma, la sua prima Progenie.

VEDI

 
(San.) - Termine sanscrito che significa "altare" e sta a designare l'ara per il sacrificio vedico, situata fra i fuochi ahavaniya e garhapatya. È costituita da un rettangolo dai quattro lati leggermente concavi, scavato nel centro per circa tre pollici, sul quale si collocano le offerte. Talvolta il Vedi è assimilato al ventre della donna (yoni, bhaga), considerando lo accoppiamento sessuale come un sacrificio cosmico.
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